Qual è la prova ‘nuova indispensabile’ ammessa anche in appello? In nota alla sentenza Cass. Civ., Sezioni Unite, 04/05/2017, n. 10790


L’art. 345/3 c.p.c., disponeva che gli unici nuovi mezzi di prova e/o gli unici nuovi documenti, ammessi in appello, potessero essere solo quelli che il collegio ritenesse «indispensabili ai fini della decisione della causa», ovvero che «la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile».

Ora, è noto che la prima parte della disposizione normativa sopra richiamata, (costituente la prima ipotesi di ammissione di nuovi mezzi di prova o di nuovi documenti ossia quella che li ammetteva solo che il collegio li ritenesse «indispensabili ai fini della decisione della causa»,) è stata soppressa ed abrogata per effetto del D.L. 22/06/2012 n. 83, conv. in L. 07/08/2012, n. 134.

Ed allora perché ce ne occupiamo?

Ce ne occupiamo perché in questi giorni e precisamente il 04/05/2017, con la decisione n. 10790, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sul punto, hanno emesso un’interessantissima sentenza che ha l’effetto di dirimere un importante contrasto giurisprudenziale, e perché, come affermato dalle stesse Sezioni Unite, la questione è comunque di attualità perché non riguarda solo i casi sottoposti ratione temporis alla previgente formulazione del cit. art. 345/3 c.p.c., ma anche casi regolati da norme tuttora vigenti.

Precisamente le Sezioni Unite chiariscono che si tratta:

«di questione la cui importanza si proietta anche in futuro, malgrado l’intervenuta modifica dell’art. 345, comma 3, cod. proc. Civ. ad opera della l. n. 134 del 2012: infatti, il medesimo concetto di indispensabilità della prova nuova in appello resta immutato nell’art. 437, comma 2, cod. proc. civ. e nell’art. 702 quater stesso codice, concernente il procedimento sommario di cognizione (oltre che nell’art. 1, comma 59, legge n. 92 del 2012 per le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 legge n. 300 del 1970, norma che a sua volta riproduce quella del comma 2 dell’art. 437 cit.)».

Dunque le stesse Sezioni Unite ci dicono che il concetto di indispensabilità della prova nuova di cui si può chiedere l’ammissione in appello vale tuttora sia per il rito del lavoro (art. 437/2 c.p.c., oltre che nelle ipotesi particolari di impugnativa dei licenziamenti), che in sede di appello nel procedimento sommario di cognizione di cui all’art. 702 bis c.p.c..

Ciò chiarito, veniamo al contenuto dell’importante decisione delle Sezioni Unite che qui si segnala.

Con la citata sentenza 04/05/2017, n. 10790, le Sezioni Unite, in primo luogo, danno conto dei diversi orientamenti giurisprudenziali (e dottrinali) riassumibili, sinteticamente in quello c.d. della indispensabilità ristretta, cui si contrappone quello che potremo, a questo punto definire, della indispensabilità aperta.

Secondo il primo orientamento (indispensabilità ristretta) nel giudizio di appello, l’indispensabilità delle nuove prove deve apprezzarsi necessariamente in relazione alla decisione di primo grado e al modo in cui essa si sia formata, del che, ne consegue che secondo questo orientamento sono qualificabili come indispensabili solo le nuove prove la cui necessità emerga dalla stessa sentenza impugnata, prove delle quali non era apprezzabile nemmeno in termini di una qualche utilità, nel giudizio di primo grado.

Invece, in base al secondo orientamento (indispensabilità aperta o estesa), in verità prevalente, la prova nuova indispensabile di cui qui si tratta, è quella che di per sé è tale da eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, anche a prescindere dalle preclusioni istruttorie eventualmente maturate.

Così sinteticamente riassunte le due correnti di pensiero, le Sezioni Unite, dirimono il contrasto dichiarando apertamente di aderire a quest’ultimo orientamento, ritenuto prevalente, secondo il quale precisamente:

«prova nuova indispensabile di cui all’art. 345, comma 3, c.p.c., nel testo previgente rispetto alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif., dalla l. n. 134 del 2012, è quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado».

Ciò che forse colpisce maggiormente – quantomeno chi scrive – di questa decisione è il superamento delle preclusioni istruttorie.

Infatti, le S.U. della Cassazione, ovviamente consapevoli del peso di un simile orientamento, motivano sul punto. Dapprima esse precisano che:

«quella dell’indispensabilità ristretta è un’interpretazione che, svuotando di significato la prima delle due ipotesi di prove nuove consentite in appello e identificandola con una sottospecie della seconda, finisce con il sortire un (non consentito) effetto abrogativo del cit. comma 3 dell’art. 345 previgente, là dove parla di prove indispensabili».

Inoltre, esse ritengono che «colliderebbe con l’art. 24 Cost. il rimettere tale diritto [di dimostrare il fatto indispensabile alla decisione] ad una mera valutazione del giudice d’appello, giacchè a costui spetterebbe non già la sola valutazione di ammissibilità e rilevanza della prova, ma la stessa opportunità di consentire alla parte interessata di esercitare un proprio diritto di difesa».

Così criticato il diverso e contrario orientamento, le Sezioni Unite, motivano sull’adesione all’orientamento che abbiamo definito della “indispensabilità allargata o estesa” (in quanto contrapposta a quella definita, dalla stessa Suprema Corte, della “indispensabilità ristretta”), ritenendola preferibile, non solo da un punto di vista sistematico, ma anche in quanto maggiormente rispondente al principio della ricerca della verità materiale.

Testualmente, le S.U. precisano che:

«come quello della ragionevole durata del processo è valore servente rispetto al diritto d’azione di cui all’art. 24 Cost., così lo è quello del contemperamento fra preclusioni istruttorie e ricerca della verità materiale. Si tratta di valori che, lungi dall’essere fra loro in competizione, hanno di vista il medesimo obiettivo: dare concreta attuazione alla tutela giudiziaria delle posizioni giuridiche attive».

Non si crede di sbagliare nel ritenere che questa decisione lascerà un segno.

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Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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