No all’assegno divorzile: la Cassazione è sempre più convinta


La Suprema Corte, quest’anno 2017, ci ha voluto sorprendere con la nota sentenza 10/05/2017, n. 11504 prendendo, in tema di assegno di divorzio per il coniuge, un orientamento – che in molti si aspettavano – ma decisamente ‘rivoluzionario’ (per un commento sulla citata sentenza 11504/2017 si rinvia al nostro articolo del 15/05/2017).

Anche se qualcuno ha ritenuto che fossero assolutamente maturi i tempi per questa svolta, tuttavia, subito dopo la suddetta pronuncia, si è dubitato della sua ‘tenuta’.
Ciò perchè così come una rondine non fa primavera, allo stesso modo una sentenza, per di più non a sezioni unite ma, di una sezione semplice (Sez. I), non necessariamente poteva considerarsi un significativo orientamento del nostro giudice di legittimità anzichè una isolata pronuncia.

Ora, a distanza di alcuni mesi, si può affermare che l’interpretazione contenuta nella cit. sent. 11504/2017, quantomeno in sede di giudizio di Cassazione, ha una certa tenuta.

Infatti, la Suprema Corte, oltre a ribadire il concetto in sede di revisione dell’assegno medesimo con la sentenza Cass. Civ., Sez. I, 22/06/2017, n. 15481 , in sede di Sezione diversa da quella (e precisamente in sede di Sez. VI) anche di recente con l’ordinanza Cass. Civ., Sez. VI, 29/08/2017, n. 20525 ha avuto occasione di ribadire il medesimo concetto di esonero del coniuge al mantenimento dell’altro, qualora quest’ultimo abbia propri mezzi.

Anzi ha espressamente dichiarato di volere dare continuità all’orientamento introdotto con la cit. sent. 11504/2017, affermando che:

«il ricorso deve essere accolto dando così continuità alla recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. sez. 1^ n. 11504 del 10 maggio 2017) secondo cui il diritto all’assegno di divorzio, di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 10, è condizionato dal suo previo riconoscimento in base ad una verifica giudiziale che si articola necessariamente in due fasi, tra loro nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla norma (nel senso che alla seconda può accedersi solo all’esito della prima, ove conclusasi con il riconoscimento del diritto): una prima fase, concernente l’an debeatur, informata al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all’assegno divorzile fatto valere dall’ex coniuge richiedente; una seconda fase, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell’importo dell’assegno stesso».

Nello specifico caso, la coniuge che chiedeva il riconoscimento dell’assegno divorzile e che infatti aveva ottenuto già in primo (Tribunale di Fermo) ed in secondo grado (Corte di appello di Ancona), aveva una casa, uno stipendio da insegnante, e recenti investimenti immobiliari.

Con la pronuncia che qui si segnala, dunque, la Corte di Cassazione ha accolto l’impugnazione del marito contro l’ultimo provvedimento confermativo del primo con cui si affermava l’obbligo di questi alla corresponsione dell’assegno divorzile alla moglie, cassando la sentenza della corte territoriale e rinviando per la decisione sulle spese.

Documenti & materiali

scarica il provvedimento Cass. Civ., Sez. VI, 29/08/2017, n. 20525

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Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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