Il feto è ‘persona’: sentenza storica della Suprema Corte In nota a Cass. Pen., Sez. IV, 20/06/2019, n. 27539


Risponde di  omicidio colposo e non di aborto colposo, il sanitario (nella specie l’ostetrica) che provoca la morte del feto durante il travaglio, perché il feto nascente è una persona.

Questo concetto è quello espresso dalla Suprema Corte nella storica sentenza di questi giorni Sez. IV, 30/01/2019 – 20/06/2019, n. 27539 che qui si segnala.

Questo il caso: la paziente veniva ricoverata presso una clinica alle ore 13.30 dell’8 novembre 2008 a seguito della rottura del sacco amneotico e sottoposta ad un tracciato cardiotocografico, eseguito dal medico di turno che rilevava l’assenza di contrazioni e di dilatazione del collo dell’utero. Alle ore 15.30, veniva trasferita in sala travaglio e sottoposta ad un nuovo tracciato, con travaglio che, ad avviso dell’ostetrica che la assisteva, procedeva lentamente, in quanto la dilatazione del collo dell’utero era di cm. 3-4. Alle ore 18.20, la paziente era trasferita in sala parto, dove, su suggerimento dell’ostetrica le veniva praticata l’anestesia epidurale per i forti dolori nel frattempo sopraggiunti. Alle ore 18.40, il ginecologo, non riuscendo a rilevare con lo stetoscopio ostetrico il battito cardiaco, sollecitava l’ostetrica a praticare un nuovo esame cardioto-grafico con un apparecchio prelevato all’esterno della sala parto e che, secondo quanto riferito dall’ostetrica, non registrava nessun battito. A questo punto, il ginecologo praticava la manovra di Kristeller e, dopo tre spinte espulsive, il feto era estratto dall’ostetrica alle ore 19.15 e affidato alle cure del pediatra e dell’anestesista rianimatore, che constatava l’assenza di battito cardiaco, della respirazione; di riflessi e di movimenti. In considerazione delle risultanze dell’esame autoptico ed istopatologico, i consulenti concordavano nell’affermare che il feto non aveva mai respirato e che, quindi, era nato morto per asfissia perinatale.

In primo grado, il Tribunale di Salerno riteneva penalmente responsabile e condannava l’ostetrica per omicidio colposo, ravvisando gravi profili di colpa professionale per negligenza ed imperizia in quanto addetta all’assistenza della partoriente e al controllo delle fasi di travaglio; in particolare le veniva addebitato il mancato espletamento dei necessari monitoraggi cardiotocografici, soprattutto in corrispondenza delle maggiori contrazioni provocate dall’ossitocina.

In particolare, il mancato rilievo del battito cardiaco non consentiva di scoprire la sofferenza fetale già in atto e l’omessa comunicazione al ginecologo della complicanza sopravvenuta impedivano l’adozione delle manovre urgenti ed indispensabili per scongiurare la morte in utero del feto.

L’osterica condannata impugnava la sentenza della Corte territoriale che confermava la condanna di primo grado, sollevando, tra le altre argomentazioni, anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 589 c.p. per violazione dell’art. 25 Cost., comma 2, art. 117 Cost. e art. 7 CEDU sostenendo, in particolare, che, al momento dell’estrazione del feto dall’utero, il medesimo era già senza vita, per cui il reato doveva essere riqualificato in aborto colposo, e che il concetto di persona non può ricomprendere il feto, per cui la fattispecie in esame violerebbe i principi di tassatività, determinatezza e frammentarietà del diritto penale. Inoltre, invocava la disposizione di cui all’art. 578 c.p. di infanticidio in condizioni di abbandono morale o materiale, che differenzia e non equipara le ipotesi di “morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto” o del “feto durante il parto“, del che la morte del feto doveva essere ricondotta nelle diverse e più lievi fattispecie disciplinate dalla L. n. 194 del 1978, artt. 17 e ss..

Con la sentenza  n. 27539/2019 la Suprema Corte, sul punto afferma che

«il reato di omicidio e di infanticidio-feticidio tutelano lo stesso bene giuridico, e cioè la vita dell’uomo nella sua interezza. Ciò si desume anche dalla terminologia adoperata dall’art. 578 c.p. – “cagiona la morte” – identica a quella adottata per il reato di omicidio, in quanto evidentemente “si può cagionare la morte soltanto di un essere vivo”. Il legislatore, quindi, ha sostanzialmente riconosciuto anche al feto la qualità di uomo vero e proprio, giacché “la morte è l’opposto della vita” (Sez. 1, n. 46945 del 2004, cit.; Sez. 4, n. 4090 del 13/02/1979, non massimata). I due reati, quindi, vigilano sul bene della vita umana fin dal suo momento iniziale e il dies a quo, da cui decorre la tutela predisposta dall’uno e dall’altro illecito è il medesimo».

Ed aggiunge che

«con la locuzione “durante il parto” l’art. 578 c.p. specifica cosa sia da comprendere nel concetto di “uomo” quale soggetto passivo del reato di cui all’art. 575 c.p., in cui deve essere incluso anche il “feto nascente” (Sez. 5, 29/05/1981, non massimata). Prima di detto limite la vita del prodotto del concepimento è tutelata da altro reato: il procurato aborto».

Molto importante è la distinzione che segue tra omicidio e aborto in quanto secondo la Corte Suprema

«in caso di parto indotto prematuramente e fuori dalle modalità consentite dalla legge, che si concluda con la morte del prodotto del concepimento (sia esso feto o neonato), nella conclamata assenza di ogni elemento specializzante, e fermo il principio irrinunciabile secondo cui la tutela della vita non può soffrire lacune, l’illecito commesso sarà un omicidio o un procurato aborto a seconda che il nascente abbia goduto di “vita autonoma o meno“.

Al riguardo, infatti, la Corte ricorda e precisa che secondo l’unanime e consolidato orientamento della giurisprudenza, in tema di delitti contro la persona, il criterio distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo si individua nell’inizio del travaglio e, dunque, nel raggiungimento dell’autonomia del feto, coincidendo quindi con la transizione dalla vita intrauterina a quella extrauterina.

Con la sentenza 27539/2019 qui segnalata, quindi, la Corte di Cassazione dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale, e afferma che

«alla luce di tale ricostruzione del rapporto tra le fattispecie criminose previste dagli artt. 575 e 578 c.p. l’inclusione dell’uccisione del feto nell’ambito dell’omicidio, infatti, non comporta una non consentita analogia in malam partem, bensì una mera interpretazione estensiva, legittima anche in relazione alle norme penali incriminatrici».

Per l’importanza del tema ma forse anche per il particolare momento storico/politico, le argomentazioni della sentenza in esame sono destinate a ‘fare storia’.  Qualcuno, in particolare, ritiene che con questa sentenza si metta in discussione la pratica e la legittimità stessa dell’aborto, legittimo nei limiti e nelle forme di cui alla nota legge 22/05/1978, n. 194. Staremo a vedere.
Una piccola nota forse di poca rilevanza in considerazione di tutto il contesto, ma pur sempre importante: anche in questo caso, come purtroppo in molti altri, la decisione definitiva – della Cassazione – arriva a distanza di molti anni (11 per la precisione). Troppi. Troppi anche quando, come in questo caso, i gradi successivi al primo sono stati di conferma della decisione assunta dal giudice di primo grado (qui, di condanna).

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Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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