Delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa di nullità del matrimonio: guai fidarsi delle interpretazioni giurisprudenziali. In nota a ordinanza Cass. Civ., Sez. VI, 19/04/2017, n. 9925


E’ noto che la sentenza con cui il Tribunale ecclesiastico dichiara la nullità del matrimonio concordatario (nullità che può essere dichiarata per vari motivi), per assumere efficacia anche nel nostro Paese, deve prima essere sottoposta al giudizio di delibazione avanti il giudice italiano (sul tema si rinvia ai nostri articoli del 07/04/2015 e del 12/02/2017) .

E’ altrettanto noto che, sul punto, la Suprema Corte, a Sezioni Unite (17/07/2014, n. 16379 e 16380), ha assunto un orientamento ben preciso consistente nel negare la delibazione della predetta sentenza ecclesiastica, per ragioni di ordine pubblico, allorchè il matrimonio si sia protratto per almeno tre anni.

Esattamente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le decisioni nn. 16379 e 16380 del 17 luglio 2014, hanno affermato che la convivenza “come coniugi“, quale elemento essenziale del “matrimonio-rapporto“, ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di “ordine pubblico italiano“, la cui inderogabile tutela trova fondamento nei principi supremi di sovranità e di laicità dello Stato, come già affermato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 18 del 1982 e n. 203 del 1989, ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del “matrimonio-atto“.

Ciò chiarito, però, ai fini processuali, è assolutamente necessario individuare la natura della predetta eccezione perché da ciò discendono conseguenze molto importanti: se eccezione in senso stretto, andrà sollevata entro i termini di cui all’art. 167 cpc (cioè almeno 20 giorni prima dell’udienza), pena la sua inammissibilità per tardività; se eccezione in senso lato, potrà essere sollevata anche in prima udienza e dunque non sarà soggetta ad alcuna decadenza ex art. 167 cpc.

Il fatto è, però, che rispetto a questo punto la stessa Corte di Cassazione non ha un orientamento univoco, atteso che con alcune pronunce ha classificato la predetta eccezione quale eccezione in senso stretto, facendovene quindi derivare la nota conseguenza preclusiva; altre, invece, l’ha ritenuta eccezione, per così dire, ordinaria e comunque non sottoposta ad alcuna preclusione.

Precisamente sulla natura dell’eccezione con la sentenza Cass. Civ., Sezioni Unite, 17/07/2014, n. 16379, ha affermato che:

« Nel caso in cui, invece, la domanda di delibazione sia proposta da uno soltanto dei coniugi, l’altro – che intenda opporsi alla domanda, eccependo il limite d’ordine pubblico costituito dalla “convivenza coniugale” con le evidenziate caratteristiche (cfr., supra, n. 4.1.) – ha l’onere, a pena di decadenza, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., commi 1 e 2, (si veda l’art. 343 c.p.c., comma 1): i) di sollevare tale eccezione nella comparsa di risposta; 2) di allegare i fatti specifici e gli specifici comportamenti dei coniugi, successivi alla celebrazione del matrimonio, sui quali l’eccezione medesima si fonda, anche mediante la puntuale indicazione di atti del processo canonico e di pertinenti elementi che già emergano dalla sentenza delibanda; 3) di dedurre i mezzi di prova, anche presuntiva, idonei a dimostrare la sussistenza di detta “convivenza coniugale”, restando ovviamente salvi i diritti di prova della controparte ed i poteri di controllo del giudice della delibazione quanto alla rilevanza ed alla ammissibilità dei mezzi di prova richiesti.

L’eventuale, relativa istruzione probatoria – si ribadisce – ha da svolgersi, secondo le regole di un ordinario giudizio di cognizione, con particolare rigore, in considerazione sia della complessità degli accertamenti in fatto, sia del coinvolgimento di diritti, doveri e responsabilità fondamentali e personalissimi, sia del dovere di rispettare il divieto di “riesame del merito” della sentenza canonica, imposto al giudice della delibazione dal punto 4, lett. b), n. 3, del Protocollo addizionale».

Tale sentenza è stata poi ripresa e confermata con la pronuncia Cass. Civ., Sez. I, 21/12/2015, n. 25676 con cui, in più si è anche affermato che:

«alla luce del principio costituzionale del giusto processo, non ha rilevanza preclusiva l’errore della parte che, convenuta in un giudizio di delibazione di sentenza ecclesiastica dichiarativa di nullità matrimoniale, abbia tardivamente eccepito, quale situazione ostativa alla delibazione, la convivenza di lunga durata “come coniugi”, facendo affidamento su una giurisprudenza di legittimità, consolidata al momento della sua tempestiva costituzione ma poi travolta da un mutamento interpretativo (dovuto alla sentenza n. 16379 del 2014 delle Sezioni Unite che, innovando quella giurisprudenza, hanno qualificato detta eccezione come in senso stretto), che riteneva il relativo fatto rilevabile d’ufficio, dovendo altresì individuarsi nella rimessione in termini lo strumento per ovviare a quell’errore“».

Detto orientamento ha indotto alcune parti, dunque, a ritenere che l’eccezione potesse anche essere sollevata in udienza anziché nel termine di venti giorni prima di essa ex art. 167 cpc. Ed è quanto accaduto in un caso deciso dalla Corte d’appello di Messina, che tuttavia ha respinto l’eccezione dichiarandola tardiva perché non proposta, appunto, nei termini di cui al citato art. 167 cpc.

La parte soccombente con fiducia ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione confidando nella censura di tale decisione in applicazione del proprio orientamento di cui sopra si è detto. Senonchè, invece, con sorpresa, la Sez. VI, della Corte di Cassazione, con l’ordinanza 19/04/2017, n. 9925 ha respinto il ricorso, e confermato la decisione della Corte d’appello, e – tornando praticamente sui propri passi –  ha affermato  che:

«che il precedente citato è rimasto isolato, non potendosi ritenere, come affermato nella più recente pronuncia del 19/12/2016, n. 26188, che nel caso sussista un’ipotesi di overruling tale da giustificare la rimessione in termini della parte, per avere questa fatto affidamento su di un diverso orientamento giurisprudenziale da ritenersi invero tutt’altro che consolidato, come provato proprio dal contrasto risolto con la citata sentenza delle Sez. U.».

Dunque, in conclusione, la Sezione VI ha ritenuto che:

«correttamente la Corte del merito aveva ritenuto tardiva l’eccezione di convivenza ultratriennale, siccome sollevata dalla Sig. C. in sede di costituzione all’udienza di prima comparizione e non già come avrebbe dovuto, con la comparsa di costituzione ex art. 167 c.p.c., nel termine ex art. 166 c.p.c.».

Francamente desta qualche perplessità la decisione 9925/2017 che qui si segnala, sia perché si pone in contrasto con altre precedenti pronunce, e sia perché, malgrado ciò, non ritiene di far risolvere questo contrasto rimettendo alle Sezioni Unite.

Documenti & materiali

Scarica Cass. Civ., Sezioni Unite, 17/07/2014, n. 16379
Scarica Cass. Civ., Sez. I, 21/12/2015, n. 25676
Scarica Cass. Civ., Sez. VI, 19/04/2017, n. 9925

Print Friendly, PDF & Email

Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.