Corte Costituzionale: parziale illegittimità dell’art. 460 cpp


La Corte Costituzionale, con la sentenza 21/07/2016, n. 201 ha dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 460 CPP (requisiti del decreto penale di condanna) ed in particolare,

«dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 460, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere mediante l’opposizione la sospensione del procedimento con messa alla prova».

Il caso

Tutto è nato dal caso in cui, avanti al Tribunale di Savona, in composizione monocratica, un imputato aveva fatto domanda di ‘messa alla prova’, ma non con l’atto di opposizione al decreto penale di condanna, bensì in udienza dibattimentale, per cui inammissibile.

Di qui, il Tribunale, con ordinanza del 3 giugno 2015, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 460, comma 1, lett. e) CPP, nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna debba contenere l’avviso all’imputato che ha facoltà di chiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova unitamente all’atto di opposizione.

L’istituto di ‘messa alla prova’

Come noto, con la L. 28/04/2014, n. 67 è stato introdotto l’istituto di diritto sostanziale della messa alla prova, con la previsione e l’inserimento nel codice penale degli artt. 168 bis, 168 ter e 168 quater, nonchè corredando la genesi normativa con disposizioni processuali che sono ricomprese dal nuovo Titolo V bis (del codice di rito) e che sono previste agli artt. 464 bis, 464 ter, 464 quater, 464 quinquies, 464 sexies, 464 septies, 464 octies e 464 novies.

L’istituto in esame rientra tra le cause di estinzione del reato, come si ricava inequivocabilmente dal tenore del comma 2 dell’art. 168 ter, laddove la norma si riferisce agli effetti dell’esito positivo della prova (anche se, non esclude l’applicazione di eventuali sanzioni amministrative accessorie).

Ed allora, tornando alla questione sollevata, la Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione considerando che:

«l’istituto della messa alla prova, introdotto con gli artt. 168-bis, 168-ter e 168-quater cod. pen., ha effetti sostanziali, perché dà luogo all’estinzione del reato, ma è connotato da un’intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio, nel corso del quale il giudice decide con ordinanza sulla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova».

La Corte ha ritenuto che ai sensi dell’art. 464/bis, comma 2, CPP i termini entro i quali, a pena di decadenza, l’imputato può formulare la richiesta di messa alla prova sono diversi e articolati secondo le sequenze procedimentali dei vari riti, e la loro disciplina è collegata alle caratteristiche e alla funzione dell’istituto, che è alternativo al giudizio ed è destinato ad avere un effetto deflattivo.

Il procedimento penale per decreto

Ciò premesso la Corte ha ritenuto che:

«come negli altri riti, anche nel procedimento per decreto deve ritenersi che la mancata formulazione della richiesta nel termine stabilito dall’art. 464/bis, comma 2, CPP, e cioè con l’atto di opposizione, determini una decadenza, sicché nel giudizio conseguente all’opposizione l’imputato che prima non l’abbia chiesta non può più chiedere la messa alla prova».

Tuttavia, a differenza di quanto accade per gli altri riti speciali, l’art. 460, comma 1, CPP, tra i requisiti del decreto penale di condanna, non prevede l’avviso all’imputato che ha facoltà, nel fare opposizione, di chiedere la messa alla prova.

Ciò considerato, con la sentenza 21/07/2016, n. 201, la Corte Costituzionale, ha ritenuto che:

«il complesso dei principi, elaborati da questa Corte, sulle facoltà difensive per la richiesta dei riti speciali non può non valere anche per il nuovo procedimento di messa alla prova. Per consentirgli di determinarsi correttamente nelle sue scelte difensive occorre pertanto che all’imputato, come avviene per gli altri riti speciali, sia dato avviso della facoltà di richiederlo.

Poiché nel procedimento per decreto il termine entro il quale chiedere la messa alla prova è anticipato rispetto al giudizio, e corrisponde a quello per proporre opposizione, la mancata previsione tra i requisiti del decreto penale di condanna di un avviso, come quello previsto dall’art. 460, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. per i riti speciali, della facoltà dell’imputato di chiedere la messa alla prova comporta una lesione del diritto di difesa e la violazione dell’art. 24, secondo comma, Cost. L’omissione di questo avvertimento può infatti determinare un pregiudizio irreparabile, come quello verificatosi nel giudizio a quo, in cui l’imputato nel fare opposizione al decreto, non essendo stato avvisato, ha formulato la richiesta in questione solo nel corso dell’udienza dibattimentale, e quindi tardivamente».

E quindi conclude:

«deve pertanto dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 460, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere mediante l’opposizione la sospensione del procedimento con messa alla prova».

Conclusioni

In considerazione di quanto sopra, nonchè dell’efficacia ex tunc delle pronunce della Corte Costituzionale, ne dovrebbe conseguire l’illegittimità dei decreti penali di condanna già emessi, senza il predetto avviso, con termine ancora pendente per l’opposizione o comunque ancora non definitivi.

Documenti & materiali

Scarica la sentenza Corte Costituzionale 21/07/2016, n. 201

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Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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