Azione contro le banche: sono legittimate ad intervenire le associazioni dei consumatori? La Corte di Cassazione rimette alle Sezioni Unite


Sulle scrivanie della Prima Sezione della Corte di Cassazione, arriva il caso relativo all’acquisto di prodotti finanziari da un istituto di credito, e del relativo giudizio in cui hanno preso parte anche alcune associazioni di consumatori.

Il caso

Si trattava e si tratta precisamente delle obbligazioni della – purtroppo nota – Parmalat e dell’azione esercitata da alcune associazioni di consumatori-risparmiatori, nonché individualmente ed in proprio di alcuni risparmiatori, nei confronti di un istituto di credito, con cui veniva chiesto la nullità o inefficacia dei contratti di negoziazione di prodotti finanziari sorti tra le parti, la nullità o inefficacia di qualsiasi altra pattuizione negoziale con condanna alla restituzione delle somme investite, oltre che condanna al risarcimento del danno per responsabilità contrattuale e precontrattuale.

Le decisioni di primo e secondo grado

Il Tribunale, in primo grado, accoglieva la domanda nel merito dei singoli risparmiatori, e condannava l’istituto di credito al risarcimento del danno, ma dichiarava il difetto di legittimazione ad agire delle associazioni.

E, pur riformando parzialmente la sentenza, la Corte d’appello, sotto il profilo della legittimazione ad agire delle associazioni intervenute, confermava il difetto della sua sussistenza.

La Cassazione

Impugnata la sentenza di secondo grado avanti la Cassazione, la Sezione Prima di essa, rilevando che sullo specifico profilo della legittimazione attiva delle associazione di categoria ed in particola dell’ammissibilità dell’intervento ad adiuvandum di esse, sussiste un contrasto giurisprudenziale, con ordinanza 19/02/2016 n. 3323 ha deciso di rimettere la questione al Primo Presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite, ritenendo detta questione di massima di particolare importanza.

Più in dettaglio, infatti, nella citata ordinanza 19/02/2016 n. 3323 di rimessione al Primo Presidente, la Corte afferma che:

«è, tuttavia necessario fornire una definizione giuridica dell’interesse ad adiuvandum così come elaborata dalla giurisprudenza di legittimità. L’intervento adesivo dipendente deve fondarsi su un interesse giuridico e non di mero fatto ad una delle due soluzioni alternative della controversia.

Sul contenuto dell’interesse giuridico non vi è una totale consonanza. Si ritiene alternativamente necessario che si debba riscontrare un’efficacia riflessa del giudicato anche nella sfera giuridica del terzo o che sia sufficiente la preesistenza di un rapporto giuridico tra una delle parti ed il terzo tale da postulare quanto meno la possibilità che quest’ultimo possa trarre un concreto vantaggio secundum eventum litis».

La Corte prosegue dando atto di un orientamento giurisprudenziale secondo il quale:

«la configurazione più restrittiva dell’interesse ad adiuvandum si può riscontrare nella recente pronuncia n. 25145 del 2014: L’intervento adesivo dipendente del terzo è consentito ove l’interveniente sia titolare di un rapporto giuridico connesso con quello dedotto in lite da una delle parti o da esso dipendente e non di mero fatto, attesa la necessità che la soccombenza della parte determini un pregiudizio totale o parziale al diritto vantato dal terzo quale effetto riflesso del giudicato, nonchè nella coeva n. 364 del 2014: “la legittimazione ad adiuvandum ex art. 105 c.p.c., comma 2, presuppone che il giudicato destinato a formarsi tra le parti del giudizio arrechi una lesione ad un interesse giuridico e non meramente fattuale del terzo interveniente».

E dando atto, tuttavia, anche di un altro orientamento:

 «deve, tuttavia, rilevarsi che proprio in tema di intervento adesivo dipendente dei c.d. enti esponenziali d’interessi collettivi e diffusi l’orientamento è stato più estensivo. Nella sentenza n. 15535 del 2005 è stato affermato che: Le associazioni dei consumatori e degli utenti sono legittimate ad intervenire nel giudizio instaurato da un consumatore avanti al giudice di pace per il recupero delle somme versate quale canone per il servizio di depurazione delle acque reflue a causa dell’inesistenza del servizio, giacchè la L. 30 luglio 1998, n. 281, all’art. 3, attribuisce ad esse la legittimazione ad agire, a tutela di interessi collettivi, al fine di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori, senza preclusione delle azioni individuali di costoro, danneggiati dalle medesime violazioni“».

In conclusione, su questo importante punto, la Prima Sezione della Cassazione ritiene che la non univocità degli orientamenti giurisprudenziali e delle tesi della dottrina, oltre che il rilievo socio economico della questione, inducono a rimettere la questione al Primo Presidente come questione di massima di particolare rilevanza. E così si contengono.

Considerazioni conclusive

In considerazione dei contenziosi oggi pendenti a seguito dei fatti anche oggetto di cronaca di questi giorni, coinvolgenti alcuni importanti istituti di credito e relativi risparmiatori ed associazioni di categoria, si comprende bene come la decisione della Corte appaia effettivamente di particolare importanza.

Non ci resta, dunque, che attenderla.

Documenti & Materiali

Scarica ordinanza Cass. Civ., Sez. I, 19/02/2016 n. 3323

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Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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