Assegno di mantenimento: esecuzione forzata e mutamento del titolo


Quando l’assegno di mantenimento, riconosciuto in favore dell’altro coniuge e/o in favore dei figli, in sede di separazione o di divorzio, non viene corrisposto, il titolare del credito può agire con esecuzione forzata ai danni dell’obbligato, per cercare di recuperare forzosamente il credito medesimo. Ma cosa succede se il titolo in virtù del quale egli agisce ed ha effettuato il pignoramento, viene modificato nel corso del processo di esecuzione forzata?

Il caso sopra ipotizzato di modifica del titolo esecutivo in virtù del quale si è instaurata un’esecuzione forzata, è molto più frequente di quanto non si pensi atteso che, come noto, esso, sia emesso in sede di separazione (consensuale o giudiziale), oppure in sede di divorzio (congiunto o giudiziale), nel corso del tempo è suscettibile di modifiche, di revisione, in aumento o in diminuzione, su ricorso di chi delle due parti ha interesse.

Occorre, tuttavia, in primo luogo distinguere i due istituti (separazione e divorzio) perchè, malgrado, il tentativo del legislatore di uniformare le due rispettive regolamentazioni legislative, ancora oggi – purtroppo – vi sono importanti distinzioni.

La differente genesi storica di separazione e divorzio ha determinato la previsione delle rispettive discipline in testi normativi differenti: la separazione, quanto agli aspetti sostanziali è disciplinata dal codice civile (art. 150 c.c. e ss.), quanto agli aspetti processuali, dal codice di rito (art. 706 c.p.c. e ss.), mentre per il divorzio occorre riferirsi alla L. n. 898 del 1970. Le successive modifiche normative, la L. n. 151 del 1975, riforma del diritto di famiglia, che ha riguardato gli aspetti sostanziali della separazione e le L. n. 436 del 1978, e L. n. 74 del 1987, sul divorzio, non hanno condotto all’individuazione di regole comuni (quanto mai utili dal punto di vista processuale) tra i due istituti, malgrado da più parti ciò venisse ampiamente auspicato, per superare problemi di coordinamento tra le due discipline. Va qui ricordato che la richiamata L. n. 74 del 1987, art. 23, prevede l’estensione alla separazione della normativa processuale di cui all’art. 4 L. 898, in quanto applicabile, e comunque fino all’entrata in vigore del nuovo codice di rito. I profili processuali della separazione personale sono stati parzialmente rinnovati con L. n. 51 del 2006 (di conversione del D.L. n. 273 del 2005) e n. 80/2005 (di conversione del D.L. n. 35 del 2005, che ha pure novellato il testo della L. n. 898, art. 6); a sua volta la L. n. 54 del 2006, più comunemente nota in relazione alla previsione dell’affidamento condiviso, ha inserito un ultimo comma, all’art. 708 c.p.c., ed introdotto ex novo l’art. 709 ter c.p.c.: si tratta di previsioni espressamente dichiarate applicabili al giudizio di divorzio dall’art. 4 della predetta legge. Come si vede, una serie di modifiche molto numerose e “tormentate”. Tuttavia, ancora una volta, nonostante la volontà, a tratti palese, dei legislatore di procedere verso un omogeneità delle due discipline (processuali), l’unificazione non si è completamente raggiunta, ed alcune differenze permangono.

In tutto questo variegato contesto, parte della dottrina ha affermato che è stato posta in essere quella riforma del codice di rito, indicata nella citata L. n. 74 del 1987, art. 23, quale termine finale per la sua operatività (e quindi per l’estensione alla separazione della disciplina del divorzio, in relazione agli aspetti privi di regolamentazione). Appare del tutto condivisibile la soluzione opposta, proprio per la mancanza di un organica revisione del codice di procedura civile.

L’art. 710 c.p.c., regola in pochi tratti la disciplina dei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione. A seguito della novella del 1988 (L. n. 331 del 1985, art. 1, si indicano esplicitamente per essi “le forme del procedimento in camera di consiglio”, e dunque si richiamano l’art. 737 c.p.c. e ss..

La predetta L. n. 74 del 1987, art. 23, da intendersi, come si è detto, ancora operante, estende ai giudizi di separazione personale, “in quanto compatibili”, le regole della L. n. 898, art. 4, ove si disciplina la procedura dei giudizi di divorzio: in particolare, l’art. 4, comma 11 (ora 14) precisa che, per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica, la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva, previsione anteriore alla generalizzata esecutorietà delle sentenze di primo grado, introdotta dalla L. n. 353 del 1990.

Rimangono peraltro estranei alla previsione tanto la disciplina dei procedimenti di modifica del regime di divorzio, inserita nella L. n. 898, art. 9, quanto quella dei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione di cui all’art. 710 c.p.c.. Entrambi gli articoli richiamano espressamente la disciplina dei procedimenti in camera di consiglio (art. 737 c.p.c. e ss.), e di essa, dunque, anche la previsione dell’esecutorietà, solo ad opera del giudice (art. 744 c.p.c.).

E’ da ritenere dunque che i provvedimenti di modifica delle condizioni di separazione (e di divorzio), non siano immediatamente esecutivi.

Certo di fronte alla generalizzata esecutorietà delle sentenze di primo grado, tale carattere appare una sorta di residuo affatto eccezionale, in una materia come quella familiare che richiede tempestività e snellezza operativa.

Riassunto sommariamente così il panorama normativo, e venendo a considerare l’incidenza che può avere l’eventuale modifica del titolo rispetto ad un’esecuzione forzata pendente, e precisamente rispetto al pignoramento di una somma dell’obbligato, va detto che per consolidato orientamento giurisprudenziale:

«il carattere sostanzialmente alimentare dell’assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne, in regime di separazione, comporta che la normale retroattività della statuizione giudiziale di riduzione al momento della domanda vada contemperata con i principi d’irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità di dette prestazioni, con la conseguenza che la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione non può essere costretta a restituirle, nè può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo, mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto le somme dovute, per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni non sono più dovute in base al provvedimento di modificazione delle condizioni di separazione» (Cass. Civ., Sez. VI, 04/07/2016, n. 13609

In sintesi, quindi, se il titolo esecutivo viene modificato nel senso che, in particolare, viene diminuito l’importo dell’assegno di mantenimento, anche se gli effetti della modifica, di regola, retroagiscono alla domanda di riduzione, per cui, chi non le ha già pagate, non è più tenuto a versarle, ciò malgrado, chi ha ricevuto in corso di causa le predette somme non è tenuto a restituirle.

Ma cosa succede se la modifica, nel senso di riduzione dell’assegno di mantenimento, interviene dopo il pignoramento?

Secondo alcune pronunce

«ai sensi dell’art. 2917 c.c., l’estinzione del credito pignorato per cause verificatesi in epoca successiva al pignoramento non ha effetto in pregiudizio del creditore pignorante e di quelli che intervengono nell’esecuzione. La norma in parola non si riferisce soltanto ai fatti volontari (quali il pagamento, la novazione, la rimessione), ma a qualunque causa estintiva si sia verificata, in quanto il pignoramento comporta l’indisponibilità e la separazione dal restante patrimonio del credito pignorato, che resta, pertanto, insensibile a tutte le posteriori cause di estinzione, ivi compresa la compensazione per effetto della coesistenza dei reciproci crediti e debiti verificatasi dopo il pignoramento» (così Trib. Roma, 07/03/2017, n.  4634, Cass. Civ., Sez. I, 15/05/2014, n. 10683; etc).

Alla luce di quanto sopra, quindi, sembrerebbe di capire che il principio di irripetibilità di cui sopra vada in qualche modo applicato anche nel caso di pignoramento già eseguito, nel senso di equiparazione del pignoramento all’atto di pagamento spontaneo, per cui, in nessuno dei due casi, le somme (quelle vincolate con il pignoramento oppure quelle pagate spontaneamente) possano ritenersi ripetibili.

Diversamente opinando, infatti, si finirebbe per premiare l’inadempimento dell’obbligato al mantenimento, perchè se egli avesse pagato spontaneamente non avrebbe diritto alla restituzione delle somme, mentre se non avesse pagato spontaneamente e quindi fosse stato inadempiente per cui il beneficiario dell’assegno si è trovato costretto ad eseguitre un pignoramento – magari presso terzi – delle predette somme, avrebbe diritto al loro svincolo, e cioè sarebbe come dire che avrebbe diritto alla restituzione delle somme.

Documenti & materiali

Scarica la sentenza  Cass. Civ., Sez. I, 27/04/2011, n. 9373
Scarica la sentenza Trib. Roma, 07/03/2017, n.  4634
Scarica la sentenza Cass. Civ., Sez. I, 15/05/2014, n. 10683

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