Assegno di mantenimento e sua deducibilità fiscale


Da un punto di vista pratico, il trattamento fiscale dell’assegno di mantenimento è uno dei problemi che affliggono sia l’obbligato che il suo beneficiario, per cui, senza nessuna pretesa di completezza qui si intende fornire solo le regole base all’interno delle quali ci si potrà muovere per eventuali approfondimenti.

Sotto un profilo fiscale non vi è differenza tra assegno di mantenimento previsto in sede di separazione ed assegno divorzile, mentre va distinto l’assegno per il coniuge da quello per i figli, così come va distinto l’assegno periodico da quello corrisposto in un’unica soluzione.

L’assegno periodico per il coniuge

L’assegno di mantenimento periodico (cioè corrisposto, di regola, mensilmente) previsto a favore dell’altro coniuge, ha rilevanza fiscale sia per il coniuge obbligato al pagamento, che per il coniuge beneficiario, nel senso che la somma pagata è deducibile dal reddito complessivo dell’obbligato, per entrare nel reddito del coniuge beneficiario.

Precisamente l’art. 10, lett. c  DPR 22/12/1986, n. 917 recita:

«dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, i seguenti oneri sostenuti dal contribuente: […]
c) gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorita’ giudiziaria».

In altre parole, le somme pagate escono dal reddito del coniuge obbligato, il quale dunque non pagherà le tasse su tali importi, per andare a costituire il reddito imponibile del coniuge beneficiario, che, pertanto, sarà il soggetto tenuto al pagamento delle relative tasse (art. 10 lett. c DPR 917/86).

Tuttavia la condizione per poter procedere nel senso di cui sopra è che la somma a titolo di mantenimento sia prevista e determinata dal giudice o comunque contenuta in un provvedimento giudiziale.

L’assegno periodico per i figli

Al contrario, invece, l’assegno di mantenimento corrisposto per i figli non è deducibile dal reddito del genitore obbligato, né entra a costituire il reddito imponibile del genitore che percepisce tali somme. Tuttavia, al genitore obbligato, a fronte di tale pagamento è concessa la detrazione per i figli a carico in misura variabile a seconda del reddito complessivo del predetto obbligato, del numero e dell’età dei figli a carico (art. 10 e 12 DPR 917/86).

Il genitore che percepisce detto assegno destinato al mantenimento dei figli, quindi, ai fini fiscali non è tenuto a sommare tali somme al proprio reddito e se l’assegno di mantenimento è stato quantificato nel suo complesso (cioè indistintamente previsto per sé e per i figli), si presume che la metà sia destinata ai figli, e per l’altra metà al coniuge.

L’assegno una tantum

Diverso è invece il regime fiscale dell’assegno corrisposto in unica soluzione o c.d. una tantum.

Come noto, questo assegno di mantenimento è previsto solo in sede divorzile ex art.5/8 L. 01/12/1970, n 898, e consiste nella corresponsione di un mantenimento in unica soluzione, solo a vantaggio del coniuge (è escluso, infatti, che si possa prevedere a favore dei figli) e solo su base consensuale, cioè su accordo di entrambe le parti.

Sotto un profilo fiscale questo tipo di assegno non ha alcuna rilevanza fiscale nel senso che esso non è deducibile per chi lo corrisponde e non costituisce reddito per chi lo percepisce (art. 10, lett. c DPR 917/86).

Inoltre, secondo un’interpretazione giurisprudenziale consolidata, questo particolare regime fiscale, si applica anche quando le parti concordano che il predetto assegno divorzile una tantum venga corrisposto in più rate periodiche, purchè previste in un numero definito.

Il punto veniva affermato per la prima volta dalla Suprema Corte con la sentenza Cass. Civ., Sez. I, 12/10/1999, n. 11437:

«l’assegno di divorzio, la cui corresponsione da parte di uno dei coniugi all’altro sia stata stabilita dal tribunale, su accordo delle parti, in unica soluzione ai sensi dell’art. 5, comma 4, della l. n. 898 del 1970 (e successivamente – a seguito delle modificazioni introdotte dell’art. 10 della l. n. 74 del 1987 – ai sensi dell’art. 5, comma 8, della legge stessa), non è qualificabile come “reddito” imponibile ai fini i.r.pe.f. sulla base di quanto disposto dall’art. 47, comma 1, lett. f, del d.P.R. n. 597 del 1973 (e, successivamente, dall’art. 47, comma 1, lett. i, del d.P.R. n. 917 del 1986)».

Documenti & materiali

Scarica il testo del DPR 22/12/1986, n. 917

Scarica il testo del L. 01/12/1970, n 898

Scarica la sentenza Cass. Civ., Sez. I, 12/10/1999, n. 11437

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