Continuità professionale: con il parere del CNF verso l’approvazione del Regolamento


Prosegue l’iter di approvazione del Regolamento ministeriale sull’accertamento dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione forense di cui all’art. 21, 1° co., L. 31/12/2012, n. 247, con il recente invio al Ministero del parere non vincolante cui è pervenuto il Consiglio Nazionale Forense attraverso la valorizzazione di tutte le osservazioni provenienti dai vari Ordini, Associazioni e Unioni.

Tanto si è scritto in questi mesi sullo schema del decreto attuativo – si veda anche un nostro intervento del 16/02/2015 – e altrettanto appare opportuno aggiungere in merito alle modifiche suggerite dal CNF, sempre sinteticamente partendo dal citato art. 21, 1° co., L. 247/2012, secondo il quale:

«la permanenza dell’iscrizione all’albo è subordinata all’esercizio della professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente, salve le eccezioni previste anche in riferimento ai primi anni di esercizio professionale. Le modalità di accertamento dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione, le eccezioni consentite e le modalità per la reiscrizione sono disciplinate con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 1 e con le modalità nello stesso stabilite, con esclusione di ogni riferimento reddituale».

Le modifiche del CNF

Com’è ormai noto, l’organo consultivo propone l’eliminazione, tra i requisiti indicati all’art. 2, 2°comma della bozza ministeriale, degli ultimi due in elenco, relativi al pagamento dei contributi previdenziali e dei contributi annuali dovuti al Consiglio dell’Ordine. Declassa da assoluti a presuntivi i rimanenti sei indici che devono ricorrere congiuntamente, consentendo all’avvocato, in mancanza anche di uno solo di essi, di provare “con qualsiasi altro mezzo” la sua continuità professionale (comma 3, stesso articolo, come modificato).

Nell’ambito del procedimento di cancellazione dall’albo inoltre, il Consiglio dell’Ordine potrà consentire all’iscritto, su sua espressa richiesta in sede di osservazioni e per una sola volta

«di acquisire i requisiti carenti in un termine di tempo non inferiore a due mesi e non superiore a 4 mesi» (comma 3-bis).

Per la rimozione dai requisiti iniziali del pagamento degli oneri previdenziali e ordinistici va correttamente riconosciuto il compimento di un apprezzabile passo, finalizzato, per il CNF, al contemperamento tra la natura liberale della professione e la garanzia dell’effettività del suo esercizio a tutela del cliente e dell’avvocato stesso in un contesto in cui sia possibile operare secondo le regole di una sana e trasparente competizione. O forse, molto più semplicemente, è la norma primaria ad imporre l’esclusione di ogni riferimento -diretto o indiretto- al reddito nell’accertamento di quell’esercizio continuativo, “legittimante” la permanenza dell’iscrizione all’Albo.

In realtà, l’incidenza reddituale permane con i requisiti relativi all’obbligo di una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile e agli obblighi di formazione. E di reddito, come impietosa mannaia, si parla, al di là della continuità e in termini chiaramente punitivi, con l’art. 29, 6° co., L. 247/2012 che prevede la sospensione amministrativa dall’Albo nel caso del mancato pagamento dei contributi al Consiglio dell’Ordine e con gli artt. 16 e 70, comma 4 del Codice Deontologico che sanzionano il mancato assolvimento degli obblighi previdenziali, assicurativi e contributivi. Di fronte alla convinzione diffusa che il volume di affari dell’avvocato fornisca un indice fondamentale circa la sua affidabilità come professionista in quanto produttivo, l’altra preoccupazione sembra essere quella espressamente evidenziata : sarebbe illegittima una norma regolamentare che introducesse una sanzione più grave di quella già prevista dalla norma primaria e deontologica.

Insomma, nel complesso quasi una sorta di accanimento terapeutico che, al momento, pare essere stato parzialmente scongiurato.

Le altre modifiche. I cinque affari l’anno

Trattandosi, tuttavia, di uno schema imperfetto, limitato ad indicare in prevalenza parametri per un minimo di organizzazione di studio e “credenziali” economiche, sarebbe stata opportuna, francamente, la recisione di un parere negativo.

In sede di osservazioni, alcuni Ordini avevano correttamente rilevato come la legge deleghi ad un intervento di rango secondario la disciplina delle modalità di accertamento dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione forense e non delle condizioni per il suo svolgimento.

Inoltre, alcuni, fra gli indici riportati (titolarità di partita Iva e Pec) appaiono, singolarmente o nel complesso, non certo irrilevanti ma sicuramente scontati, mentre la menzione di una struttura per lo svolgimento dell’attività professionale rimane generica, non meglio precisato se possa coincidere con parti della propria abitazione, preordinativamente adibite a studio.

Il richiamo, così come formulato, ad almeno un’utenza telefonica è quasi imbarazzante in un’epoca in cui la tecnologia offre infiniti strumenti e soluzioni atti a consentire la puntuale reperibilità del legale o a facilitarne comunque la comunicazione ed interazione con altri professionisti e clienti.

Infine, il requisito relativo alla trattazione di almeno cinque affari l’anno, solo genericamente accennato, probabilmente lascerà alla discrezionalità dei COA interpretazioni ed applicazioni inevitabilmente disomogenee; a parte la quantità minima, infatti, e la possibile provenienza dell’incarico anche dal titolare dello studio per l’avvocato-collaboratore, proprio ai fini della dimostrazione dell’effettività, nessun riferimento è rivolto ad una specificità propria dell’attività del legale il cui svolgimento può avvenire attraverso prestazioni diluite negli anni secondo lo schema dei contratti di durata e meno frequentemente secondo lo schema dei contratti ad esecuzione istantanea.

Qualche considerazione finale

Fondando il concetto di continuità professionale sul rilievo di una quantità di lavoro da esibire e vantare, si cavalca il paradosso, come osservato da alcune Associazioni, di istituzionalizzare un vero e proprio obbligo di successo professionale, praticamente elevato a modello etico cui doversi uniformare. L’avvocato che è condizionato dalla necessità di acquisire pratiche per non rischiare la cancellazione, perde la sua credibilità e la libertà di scegliere tra progetti anche spregiudicatamente redditizi, azioni apertamente temerarie e la coerenza di un’ etica professionale ispirata da una deontologia che non sia della quantità ma della qualità.

Nel complesso la visione ispirata dalla L. 247/12 e dalle sue propaggini regolamentari sembra lontana dal profilo romantico dell’avvocato che fornisce prima di tutto a sé stesso le garanzie necessarie per le sfide che quotidianamente affronta, accettando l’equivoco che alla fortuna – e raramente al merito – di un alto fatturato corrisponda sempre e comunque seria affidabilità. Questo, anche se il mercato professionale in cui si opera è, oggi più che mai, lontano anni luce dall’essere competitivamente trasparente. Tanto per citare qualche lieve discrasia, il sistema metabolizzato che legittima convenzioni mortificanti soffoca solo le opportunità di un’avvocatura non privilegiata, mentre, tra oneri e costi, la scriteriata riforma previdenziale che dal 2010 ha raddoppiato, da un giorno all’altro, la contribuzione minima senza alcuna proporzionalità reddituale, ricorda le imposizioni di una politica del rigore, comprensibilmente invisa e ingiustamente umiliante per chi la subisce.

Il modello non può essere certo quello dell’avvocato che sopravvive di nobili ideali e disdegna la capacità di guadagno, ma nemmeno quello che si ispira ad un’idea di decoro solo economico. La necessaria ricerca di un equilibrio è proprio affidata, in prima istanza, ai COA, chiamati effettivamente a svolgere, per l’accertamento della continuità, un compito non facile ma del quale non potevano non essere consapevoli al momento di candidarsi. E dunque  come si comporteranno i Consigli, quando dovranno accertare la mancanza dell’esercizio continuativo e valutare la pregnanza dei giustificati motivi oggettivi e soggettivi di cui dovrà fornire prova lo stesso collega dal quale, magari, hanno ricevuto ampio sostegno al momento del voto ? Tali perplessità non si porrebbero, se non avessimo assistito negli anni ad innegabili derive clientelari e, in ordine sparso, all’uso distorto, prima dell’entrata in scena dei Consigli Distrettuali di Disciplina, della funzione disciplinare, pur naturalmente non in tutti gli Ordini, ma in alcuni certamente, anche per limitate fasi e passaggi di singole consiliature.

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Author: Avv. Antonella Matricardi

Avvocato, nata a Pesaro il 19 marzo 1965. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1999. Autrice abituale di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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